di Bonnannini Vittoria, Degl’Innocenti Sara, Tesi Alice
Sono molte ad oggi le intelligenze artificiali che forniscono chatbot per trovare terapeuti in base al luogo o al genere, ma anche per svolgere vere e proprie sessioni di psicoterapia.
Negli Stati Uniti, gli psicologi clinici possono chiedere mediamente 300 dollari all’ora per le sedute di terapia, e molti scelgono di non stipulare convenzioni con le compagnie assicurative, il che significa che non accettano assicurazioni sanitarie. Il divario terapeutico in cui sempre più persone cercano aiuto specialistico, ma che non ricevono cure anche a causa delle lunghissime liste di attesa, genera un vuoto: dove c’è un vuoto di cura, c’è sempre un’opportunità di profitto.
Fino a pochi anni fa questo spazio era occupato da Betterhelp e Talkspace, aziende che offrivano su abbonamento chat di testo e video per consentire a chi altrimenti non avrebbe cercato o potuto permettersi un’assistenza psicologica convenzionale, di parlare con un terapeuta. Il modello ha avuto successo grazie a campagne pubblicitarie aggressive e al supporto degli influencer sui social media. Di recente però, molti utenti si sono lamentati di ritrovarsi con terapeuti sempre diversi che sembrano lavorare controvoglia, mentre gli operatori stessi denunciano un sistema che premia la quantità dei pazienti piuttosto che la qualità e li spinge ad accettare carichi di lavoro insostenibili.
Nel 1966, Joseph Weizenbaum del Massachusetts institute of technology (Mit), creò il primo prototipo di chatbot psicoterapeuta: Eliza. Il programma si basava su un campo dell’AI chiamato elaborazione del linguaggio naturale. In uno studio recente i ricercatori hanno confrontato l’efficacia di Woebot con tre strumenti di controllo: Eliza, un’app diario personale e del materiale di psicoeducazione passiva (ad esempio gli opuscoli per la depressione). E’ risultato che l’app di intelligenza artificiale non ha offerto alcun beneficio rispetto ad altri interventi comportamentali di auto-aiuto.
Ad oggi i programmi più implementati basati sulle AI sono quelli basati sulla terapia cognitivo-comportamentale, per affrontare problemi comuni come ansia e depressione.
In una recente ricerca, infatti, emerge che programmi come ChatGPT riescono a dare risposte in sintonia con la terapia cognitivo-comportamentale, la terapia mindfulness-based etc., ma sembra meno in grado di relazionarsi ad approcci umanistici, sistemici, psicodinamici, nonostante l’interpretazione dei sogni sembra invece accurata ed efficace.
In linea generale, i chatbot non sono in grado di avere un atteggiamento genuinamente empatico e congruente nei confronti del paziente, che è il nucleo centrale della psicoterapia centrata sulla persona o usare i metodi creativi della terapia Gestalt. Allo stesso modo, non è in grado di riconoscere i segnali non verbali che sono molto importanti nel processo terapeutico.
È certo, però, che una funzione rilevante dei programmi può essere quella di snellire il lavoro dei terapeuti: Marvix Ai, per esempio, registra le sessioni di terapia e genera automaticamente degli appunti, assegnando uno o più codici diagnostici. I terapeuti risparmiano una o due ore al giorno in questo modo, aumentando la fatturazione, nel rispetto delle linee guida per la codifica e la registrazione delle cartelle cliniche. La maggior parte degli sviluppatori di strumenti terapeutici basati sull’AI sostiene di non voler sostituire, ma migliorare l’assistenza sanitaria convenzionale.
Lo sviluppatore di Earkick, un’altra piattaforma, sostiene che l’AI potrebbe essere utile nei compiti a casa che i pazienti di alcuni percorsi psicoterapeutici ricevono tra una seduta e l’altra, come libri di esercizi per il disturbo borderline di personalità, i fogli di monitoraggio dell’umore per i disturbi bipolari, o libri di lavoro per la mindfulness. Spesso questi compiti richiedono ai pazienti di registrare i loro livelli di angoscia o di osservare con attenzione i loro pensieri negativi.
C’è un motivo, però, se le sessioni di terapia hanno un limite: essere sempre disponibili non è necessariamente un bene nemmeno per il paziente. Parte della terapia consiste nell’imparare a non essere ossessionati dal prendere decisioni perfette e a fidarsi di se stessi per gestire le conseguenze di qualunque scelta. Secondo Marie Mercado, psicologa clinica a capo della Brooklyn integrative psychological service, i pazienti con disturbo borderline di personalità possono trarre beneficio dal fatto di sapere che il loro terapeuta è tecnicamente disponibile tra una seduta e l’altra; tuttavia il protocollo di risposta deve essere concordato con il terapeuta stesso. L’intelligenza artificiale, secondo Mercado, potrebbe essere utile negli attacchi di panico, che possono colpire all’improvviso dove non sempre è possibile raggiungere un operatore umano: potrebbe ad esempio offrire esercizi di respirazione e supporto emotivo.
Nel luglio 2023 viene lanciata l’app Rosebud, che prende il nome da una tecnica di diario giornaliero in cui si annota una “rosa”, ossia un aspetto positivo della giornata, un “bocciolo”, qualcosa che si attende con ansia, e una “spina”, una sfida. L’app usa l’intelligenza artificiale per fare domande agli utenti o offrire suggerimenti in base alle loro annotazioni sul diario.
Dalla revisione di studi recenti emerge anche una mancanza di ricerca che prenda in considerazione il rapporto tra le intelligenze artificiali e il lavoro con il corpo, che viene riconosciuto dall’approccio bioenergetico come fondamentale per il trattamento di alcuni disturbi come il disturbo post-traumatico da stress.
L’attenzione all’efficienza tuttavia dà idea di occuparsi della salute mentale come processo che deve essere reso più performante, in contrasto con la realtà complessa di alcuni disturbi mentali, fatta di ostacoli e complicazioni. Molti sviluppatori sostengono che l’intervento precoce in ambito ambulatoriale può ridurre le visite al pronto soccorso psichiatrico e i ricoveri ospedalieri, sottolineando i potenziali risparmi annuali sui costi sanitari. Anche le campagne di sensibilizzazione vengono sfruttate per giustificare il focus su misure di assistenza primaria meno costose. Quando si tratta di scegliere tra la terapia via chat, con una persona o con una AI, e un sostegno reale, la scelta rimane prerogativa di chi può permetterselo. Investire in nuove borse di studio e sovvenzioni per formare nuovi aspiranti terapeuti contribuirebbe a risolvere la situazione attuale.
In conclusione, l’uso delle intelligenze artificiali non sembra ad oggi apportare benefici significativi alla persona, se messi in rapporto alla psicoterapia tradizionale. Al contempo, è necessario riconoscere la comodità di utilizzo delle nuove tecnologie per raggiungere una fascia di popolazione più ampia oltre a facilitare il lavoro “meccanico” dell’elaborazione delle informazioni raccolte in seduta da parte del terapeuta, o proporre metodi alternativi di svolgimento di compiti tra un incontro e l’altro, come richiesto in alcuni approcci terapeutici.
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