Che cosa è il cyberbullismo?

 Il termine “Cyberbullismo”, letteralmente tradotto come bullismo elettronico/digitale, risulta essere un termine che fu coniato dall’educatore canadese Bill Belsey nel 2002. Venne definito come una forma di prevaricazione volontaria e ripetuta nel tempo, attuata mediante uno strumento elettronico (smartphone, computer, tablet, ecc..), contro il singolo o il gruppo, con l’obiettivo di ferire e creare disagio nel bersaglio designato.

Nel tempo si sono alternate molteplici valutazioni rispetto a questo vocabolo. Un’interpretazione interessante di questo fenomeno risulta essere quella proposta da Smith e collaboratori (2006) che ne hanno suggerito una definizione strettamente interconnessa con quella convenzionale di bullismo. In questo senso, rispetto al bullismo tradizionale nella vita reale, il cyberbullismo presenta diverse somiglianze:

  • Anonimato del molestatore: questo anonimato è illusorio, ogni comunicazione elettronica lascia sempre delle tracce. Per la vittima, però, è difficile risalire da sola al proprio molestatore, senza considerare la paure che quest’ultima nutre nei confronti del molestatore, che la induce a limitarne le possibilità di individuazione
  • Difficile reperibilità: se il cyberbullismo avviene attraverso messaggistica (chat, applicazioni, mail, ecc..) è più difficile reperirlo e rimediarvi
  • Indebolimento delle remore etiche: le due caratteristiche precedenti, insieme alla possibilità di ricoprire un ruolo diverso quando si è online, inducono il cyberbullo a sentirsi deresponsabilizzato e in qualche modo autorizzato a comportarsi in un certo modo: spesso la gente fa e dice online cose che non farebbe o direbbe nella vita reale
  • Assenza di limiti spaziotemporali: mentre il bullismo tradizionale avviene di solito in luoghi e momenti specifici (ad esempio all’interno del contesto scolastico), il cyberbullismo investe la vittima ogni volta che si collega al mezzo elettronico utilizzato dal cyberbullo (applicazioni e social)

Come nel bullismo tradizionale, però, il prevaricatore tende a prendere di mira chi è ritenuto “diverso”, solitamente per aspetto estetico, timidezza, orientamento sessuale o politico, abbigliamento ritenuto non convenzionale. In particolare, più che la diversità rispetto alla “norma” quello che sembra indurre maggiormente lo stigma risulta essere la diversità rispetto ai canoni di uno specifico gruppo. Per le ragioni menzionate precedentemente, sovente i molestatori, soprattutto se giovani, non si rendono conto di quanto ciò possa nuocere alla persona bersagliata.

 

Quali sono le tipologie di Cyberbullismo?

Le principali forme di questo fenomeno sono state individuate da Baldry, Sorrentino (2013):

  • Flaming: messaggi online violenti e volgari che mirano a suscitare scontri verbali in un blog, forum o social
  • Molestie (harassment): spedizione ripetuta di messaggi con contenuti espliciti che risultano essere offensivi e violenti
  • Denigrazione: sparlare di qualcuno per danneggiare gratuitamente la sua reputazione, attraverso le varie modalità di comunicazione offerte dagli strumenti eletronici: messaggistica istantanea, gruppi su social network, e-mail, ecc..
  • Sostituzione di persona (“impersonation”): farsi passare per un’altra persona (forma di deresponsabilizzazione) per spedire messaggi o pubblicare testi reprensibili
  • Inganno: (trickery); ottenere la fiducia di qualcuno per poi pubblicare o condividere con altri le informazioni confidate via mezzi elettronici, particolarmente pericoloso quando vengono scambiati contenuti a sfondo sessuale (foto, video, file audio).
  • Esclusione: escludere deliberatamente una persona da un gruppo online per provocare in quest’ultima un sentimento di emarginazione
  • Cyberpersecuzione (“cyberstalking”): molestie e denigrazioni ripetute e minacciose mirate a incutere paura, forma di potere su le persone.
  • Doxing: diffusione pubblica via internet di dati personali e sensibili.

 

 

Come si configura questo fenomeno? Quali sono le possibili conseguenze? Quali possono essere i fattori protettivi e di supporto per le vittime?

 Il cyberbullismo è frutto del nostro tempo, dell’attuale cultura globale in cui le macchine e le nuove tecnologie sono sempre più spesso delle vere e proprie estensioni da cui difficilmente l’uomo riesce a prendere le distanze. Gli sms, le e-mail, i social network, le chat sono i nuovi mezzi di comunicazione e di relazione, ma soprattutto sono luoghi “protetti”, di facile accesso, anonimi e deresponsabilizzanti (Smith et al., 2006).

Le variabili legate alle modalità relazionali risultano determinanti al fine di comprendere gli elementi influenti sulla persona sia rispetto a chi agisce il cyberbullismo sia rispetto a chi lo subisce. Lo schermo virtuale permette una maggiore distanza tra gli utenti rendendoli così capaci di incorrere più facilmente in comunicazioni aggressive. La maggiore disinibizione, incentivata dall’anonimato della rete, diventa una leva importante per minacciare e deridere l’altro, ancor più rispetto al bullismo tradizionale.

Recentemente Nocentini, Calmaestra, Schultze-Krumbholz, Ortega, & Menesini (2010) hanno individuato quattro principali tipologie di condotta:

  1. comportamenti messi in atto tramite cellulari, messaggi istantanei, e-mail, chat, blog, website
  2. comportamenti visivi, come inviare o diffondere video e foto compromettenti
  3. l’esclusione intenzionale di qualcuno da un gruppo on-line
  4. l’impersonificazione, cioè rivelare informazioni personali mediante un nickname o un account falso.

Come è possibile notare dalla configurazione di questi elementi, si tratta di una vera e propria forma di bullismo, un fenomeno che purtroppo risulta essere in preoccupante e crescente diffusione in tutto il mondo occidentale e, a causa della sua rilevanza, sottoposto a continue ricerche e ridefinizioni. La sua incidenza è allarmante, così come le prevedibili conseguenze sulle vittime, tali da compromettere, talvolta in modo irreversibile, la salute ed il benessere sia delle stesse sia degli autori di cyberbullismo. Le vittime, in particolare, possono presentare conseguenze a breve e lungo termine, in più ambiti o livelli di funzionamento: psicologico, relazionale, familiare e scolastico. In questo senso, ad esempio: isolamento sociale della vittima, varie forme depressive, attacchi di panico e atti estremi come i tentativi di suicidio. Secondo quanto riportato dagli esperti di Telefono Azzurro, il cyberbullismo è ancor più psicologicamente devastante del bullismo.

In questo senso, la ricerca psicologica ha rivolto una crescente attenzione alle relazioni fra pari nel contesto scolastico, ritenute basilari per lo sviluppo sociale, cognitivo ed affettivo del bambino. Le difficoltà relazionali sono considerate espressione di un disagio che investe sia i bulli sia le vittime, tanto che il fenomeno appare riconducibile, da un lato a bambini con aspetti comportamentali di dominanza e assertività, dall’altro a bambini con le caratteristiche assimilabili alla dipendenza e all’introversione sociale (Smorti, Tschiesner & Farneti, 2016).

Da una recente ricerca effettuata attraverso un questionario online, emerge che il 35% dei ragazzi intervistati (tra gli 8 e i 18 anni) è risultato vittima di cyberbullismo, ma solo 1 su 2 ha avvisato i genitori (Telefono Azzurro e DoxaKids, 2017). Infatti, proprio per il tipo di violenza che il soggetto subisce, si può manifestare confusione, senso di colpa ed impotenza che inducono la vittima a chiudersi in se stessa. Si innesca così un circolo vizioso da cui è sempre più difficile uscire e in questi contesti diviene di fondamentale importanza la qualità della relazione che il genitore è riuscito a costruire con il proprio figlio. Ciò è allo stesso modo indispensabile per poter riconoscere ed intervenire nei confronti dell’ “artefice” della sofferenza. A tal proposito, tra i segnali indicati per riconosce i cyberbulli, ritroviamo l’aggressività come modalità di relazione con gli altri e l’impulsività associata all’incapacità di autocontrollo, riscontrabile nelle esperienze di prevaricazione sugli altri. Particolarmente diffuse sono anche la scarsa tolleranza alle frustrazioni e alle regole o la mancanza di empatia.

In merito a quest’ultimo concetto, possiamo fare riferimento alla teoria del “sistema dei neuroni specchio”, particolarmente rilevante nella “simulazione incarnata” (Gallese et al., 1996). Quest’ultima viene intesa come un processo biologico secondo cui quando una persona ne osserva un’altra compiere una determinata azione e/o sperimentare una certa emozione, si attiverebbero in chi osserva non solo le medesime reazioni fisiologiche, ma anche le stesse strutture neuronali (che appunto coincidono con le aree cerebrali del sistema specchio).  Pertanto, tale processo sembra essere alla base della comprensione dei vissuti altrui ed in ultima istanza dell’empatia (Gallese et al., 1996; Bracco, 2005). È grazie all’attivazione di tale meccanismo di “simulazione incarnata” che quando vediamo un altro individuo soffrire, soffriamo un po’ anche noi: nel nostro corpo infatti si innescano tutte quelle reazioni viscerali-motorie-neurali che riguardano anche la persona che stiamo osservando. A causa delle quantità di tempo sempre maggiori che i ragazzi trascorrono nel cyberspazio, caratterizzato dalla mancanza di relazioni umane e reali, è possibile che gli adolescenti siano oggi meno abituati ad attivare e ad allenare il loro “sistema specchio”, con la conseguente carenza nel riconoscimento delle emozioni altrui e nell’elicitazione della risposta empatica. Davanti allo schermo sembra sia pressoché assente il rispecchiamento emotivo, cioè la possibilità di guardarsi negli occhi e pensare alla stessa cosa.

Risulta quindi di fondamentale importanza attuare programmi di prevenzione e di intervento al fine di prevenire e/o ridurre il fenomeno in questione. La Legge 71/2017, “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo” attribuisce all’istituzione scolastica un ruolo fondamentale in questo, in stretta alleanza educativa con la famiglia. Essa stabilisce che ciascun minore (i suoi genitori o chi esercita la responsabilità su di esso), che sia stato vittima di cyberbullismo, possa inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media un’istanza per l’oscuramento, la rimozione o il blocco dei contenuti diffusi nella rete. Ogni progetto educativo o approccio alla problematica varia necessariamente in base all’età e al tipo di rapporto instaurato con il cyber-bullo e la vittima. Si configura come sempre più indispensabile la condivisione di un sistema di valori basato sull’ascolto e sul rispetto dell’altro, contro la violenza (fisica e psicologica) e l’omertà, in quanto il cyberbullismo trova terreno fertile di espansione e crescit in un pubblico che a volte è spaventato ed incapace di prendere posizione.

 

In conclusione, internet risulta essere uno strumento straordinariamente potente, ma deve essere supportato da una navigazione critica, sicura, consapevole e responsabile. Per prevenire e agire efficacemente contro tale fenomeno e, più in generale contro i cyber-crime, è cruciale una formazione personale, un’educazione civile “digitale” che provenga da tutti gli organi coinvolti.

 

Bibliografia

Benedetti, T., & Morosinotto, D. (2016) Cyberbulli al tappeto, Trieste, IT, Editoriale Scienza, 2016.

Bracco, M. (2005). Empatia e neuroni specchio. Una riflessione fenomenologica ed etica. Comprendre, 15, 33.

Baldry, A.C., & Sorrentino, A. (2013). Il Cyberbullismo, una nuova forma di disagio giovanile. Rassegna Italiana di Criminologia, 4: 264-276.

Gallese, V., Fadiga, L., Fogassi, L., & Rizzolatti, G. (1996). Action recognition in the premotor cortex. Brain, 119(2), 593-609.

Nocentini, A., Calmaestra, J., Schultze-Krumbholz, A., Scheithauer, H., Ortega, R., & Menesini, E. (2010). Cyberbullying: Labels, behaviours and definition in three European countries. Journal of Psychologists and Counsellors in Schools, 20(2), 129-142.

Smith P. K., Mahdavi J., Carvalho C., & Tippett N., (2006), An investigation into cyberbullying, its forms, awareness and impact, and the relationship between age and gender in cyberbullying. A Report to the Anti-Bullying Alliance. Retrieved July, 7 2010.

Smorti, M., Tschiesner, R., & Farneti, A. (2016). Psicologia per la Buona scuola. libreriauniversitaria. it Edizioni.

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