Una domanda che alcuni ricercatori scientifici si sono posti è: è possibile sopprimere i brutti ricordi?
Per rispondere a questa domanda è importante capire come funziona l’immagazzinamento dei ricordi a livello cerebrale e ciò che è emerso dalle ricerche che sono state fatte.
In primo luogo, la regione cerebrale dell’ippocampo ha un ruolo centrale nell’immagazzinamento e nel recupero dei ricordi. Nel momento in cui percepiamo uno stimolo, nel nostro cervello si attiva uno schema di attivazione che, quando cerchiamo di ricordarlo, si riproduce, proprio a partire dall’ippocampo.
Date queste premesse, Michael Anderson, docente di neuroscienze, ha studiato come sia possibile inibire il recupero di un ricordo. Ciò che è emerso è che, quando cerchiamo di sopprimere volontariamente un ricordo, la corteccia prefrontale dorsolaterale (che ha la funzione di pianificazione delle azioni) inibisce l’ippocampo.
Inoltre, uno studio del 2022 (A.K. Meyer; R. Beneoit) dimostrò che, quando a dei partecipanti veniva chiesto di ricordare un’immagine che gli era stata precedentemente presentata, si riattivava nel cervello una rete di aree cerebrali, compresa la corteccia paraippocampale, che si era attivata al momento di presentazione dello stimolo. Quando, invece, veniva chiesto loro di reprimere tale ricordo, nel momento in cui veniva loro presentato uno stimolo che lo richiamava, quella rete non si riattivava.
Quindi la domanda è se, con la soppressione, oltre a non venir richiamato il ricordo, anche la traccia di memoria svanisca.
Lo studio appena descritto lascerebbe propendere per questa seconda opzione. Cosa che trova un’associazione anche con lo studio di Anderson, che vide come anche i correlati fisiologici (come la sudorazione e la frequenza cardiaca) diminuivano la loro attivazione, nella presentazione di uno stimolo che ne richiamava un altro, che, prima, aveva portato ad una marcata attivazione fisiologica per la sua natura stressogena, ma che poi era stato represso.
Questo mostrerebbe come, non solo la traccia di memoria sembrerebbe svanire, ma anche il ricordo potrebbe diventare meno vivido.
Tuttavia, questo apre una nuova questione, poiché entra in contrasto con il fatto che nei casi di disturbo post traumatico da stress (PTSD) e di disturbo depressivo, i ricordi negativi venivano repressi con molta difficoltà. Questa difficoltà facilita quindi la rimuginazione e la fissazione su pensieri negativi ricorrenti.
Ma è quindi la patologia che influenza la capacità di sopprimere i ricordi negativi o è proprio questa incapacità a contribuire allo sviluppo della malattia?
Un altro studio, fatto sui testimoni degli attentati terroristici di Parigi nel 2015, ha evidenziato che le persone a cui era stato diagnosticato un PTSD non riuscivano a sopprimere i ricordi legati all’attentato, rispetto ad altre persone presenti, che però non avevano tale disturbo. Ciò trovava conferma nel fatto che le aree cerebrali della memoria e del controllo delle azioni non comunicavano efficacemente e quindi ci sarebbe qualche problematica nel sistema di controllo neuronale dei ricordi.
Infine, nell’articolo è presentato il pensiero dello psicologo e psicoterapeuta, Jan Kalbitzer.
Egli sostiene che solo alcune volte la rielaborazione emotiva di ricordi negativi può aiutare a stare meglio; in altri casi può essere nocivo e potrebbe essere quindi benefico dimenticarli.
Perciò, l’articolo di Hannah Schultheiss, sembrerebbe considerare la soppressione del ricordo negativo come possibile e positiva per il benessere della persona.
Tuttavia, altri studi sembrano spiegare di come il ricordo immagazzinato in caso di traumi possa lasciare delle impronte indelebili nell’amigdala, struttura del cervello che si attiva in presenza di un segnale di paura. Durante un evento traumatico, l’attivazione dell’amigdala genera una risposta di “attacco o fuga”, prima ancora che il talamo possa trasmettere le informazioni alla corteccia e quindi prima di una qualsiasi elaborazione della situazione da parte della corteccia prefrontale (Le Doux, 1996). Questo potrebbe spiegare come il ricordo traumatico possa essere meno soggetto ad un tipo di inibizione intenzionale.
Lo psicoanalista Rupert Martin sostiene che i ricordi restano nella memoria e continuano a pesare anche quando li abbiamo apparentemente dimenticati. Infatti, in alcuni casi di vissuti traumatici, tale esperienza può essere ripetuta in modo compulsivo dalla persona, anche se apparentemente dimenticata, perché vi è il desiderio inconsapevole di superarla (Khantzian, 1997). Come, per esempio, il ripetersi di esperienze relazionali negative potrebbe rappresentare un tentativo di gestire in modo attivo traumi che sono stati vissuti passivamente (Gabbard, 2015).
Inoltre, il ricordo negativo traumatico potrebbe essere stato immagazzinato nella memoria in modo diverso rispetto ai ricordi non traumatici, in quanto la persona per distaccarsi dall’evento ed evitare emozioni troppo intense potrebbe rimandare il processo di elaborazione.
Quindi, un evento che non è pensato riflessivamente, non viene integrato nella propria narrazione autobiografica. Infatti, è stato visto come in questi casi vi sia una ridotta attivazione dell’ippocampo e dell’area di Broca, che ha la funzione di elaborare verbalmente i ricordi. Infatti, i ricordi che sono verbalmente accessibili possono essere richiamati e, quindi, potrebbero essere inibiti più facilmente; mentre nel caso in cui non lo siano, tali ricordi risultano più incontrollabili, di difficile richiamo intenzionale e più dipendenti da stimoli che potrebbero evocarli. Questo può, per esempio, essere visto nel caso di PTSD, in quanto la persona ha ripetuti flashback e incubi negativi, che irrompono nella coscienza improvvisamente e involontariamente.
Quindi la domanda che sorge spontanea è, in questi casi in cui il ricordo è stato registrato in modo più inconsapevole e che, quindi, non può essere volontariamente richiamato con facilità, basta davvero sopprimerlo per farlo sparire? O questo ricordo continuerò con irruenza a presentarsi attraverso ogni possibile canale?
La rielaborazione del trauma sembrerebbe essere fondamentale quindi per trasferire il ricordo negativo dalla memoria legata all’amigdala a quella ippocampale.
Abbiamo visto anche come tali ricordi vengano immagazzinati in una memoria implicita e siano associati ad emozioni, sensazioni e comportamenti, senza una connessione consapevole (LeDoux, 2002).
Quindi, per integrare e superare tali ricordi sarebbe necessaria una loro “ricostruzione emotiva”.
Dunque, un buon metodo di rielaborazione e superamento del ricordo negativo, potrebbe essere quello di rivivere in un contesto sicuro, come la terapia, tali esperienze, dando un significato a certe sensazioni fisiche negative e a certe emozioni, soprattutto acquisendo consapevolezza delle strategie di difesa adottate per affrontare l’esperienza negativa (Casalegno, P., 2016).
Una volta conosciute le proprie risorse, ciò potrebbe permettere di scoprire nuove soluzioni nel qui ed ora.
A cura di Eleonora Boninsegni
3 risposte
Sicuramente l’elaborazione del trauma segue dinamiche differenti e imprevedibili ,percui l’approccio nella gestione e superamento dello stesso cambia di caso in caso . Ricordarlo puo’ essere il modo per ridimensionarlo e limitarne il potere che ha sulla nostra sfera emotiva, cancellarlo in altri casi permette di non farsi sopraffare da emozioni negative incontrollate, troppo dolore… per mia esperienza ho constatato che dimenticare un evento doloroso é difficile e che l’unico sollievo é il tempo , flashback e incubi perdono intensita’ e frequenza e si recupera una relativa serenità emotiva.
Ciao Maria Daniela,
i modi e i tempi di elaborazione sono estremamente personali, e devono essere trattati con rispetto. Concordo con te
Il Mangiatore di Sogni
Grazie . Molto interessante .
Dr.ssa Parrella