“Sappiamo ciò che siamo, ma non sappiamo ciò che potremmo essere”
(W. Shakespeare, Amleto)
Il cambiamento come costante
Da modificazioni minime, come l’alterazione del ritmo respiratorio per qualcosa che ci ha tolto il fiato, a quelle più complesse e articolate, come un trasloco, una perdita, una nuova relazione, il cambiamento è una costante dell’esistenza.
“Il cambiamento è l’unica cosa immutabile” diceva Schopenhauer.
Benchè spesso si tenda a cercare di preservare l’equilibrio raggiunto nei diversi ambiti della nostra vita, tutti abbiamo sperimentato la necessità di ri-adattarci, in seguito a cambiamenti interni o esterni.
Stadi del cambiamento
Walt Disney ci insegnava che se possiamo sognare qualcosa possiamo farla, ma la realtà non è così immediata.
Il cambiamento è stato un concetto largamente studiato in psicologia, rispetto al quale sono proliferate numerose teorie.
Prochaska e Di Clemente (1982) hanno cercato di operare una sintesi di quanto fino ad allora compreso, proponendo il cambiamento come un processo circolare che si articola in diversi stadi. Non si tratta quindi di un fenomeno tutto-o-nulla e che richiede tempo e motivazione per essere portato a termine.
In particolare gli autori hanno identificato i seguenti stadi, che sono comunque da considerare come aperti:
- fase di precontemplazione: non siamo coscienti del fenomeno che vogliamo modificare
- fase di contemplazione: cominciamo ad individuare atteggiamenti o comportamenti che vorremmo modificare, ma siamo fortemente ambivalenti fra il desiderio e la paura di cambiare
- fase di preparazione: decidiamo che di voler cambiare, ma se a questa fase non segue l’azione si rischia di tornare allo stadio precedente
- fase di azione: attuiamo concretamente dei cambiamenti rispetto al passato e potremmo trovarci a dover fronteggiare lo stress da questi causato
- fase di mantenimento: siamo intenzionati a mantenere il cambiamento e cerchiamo di consolidarlo
- fase di conclusione: il cambiamento è consolidato ed il vecchio comportamento estinto
Tuttavia, il processo di cambiamento coinvolge l’individuo nella sua interezza psico-fisica, imponendo un ri-adattamento cognitivo, emotivo e comportamentale, per cui non è infrequente la presenza, fra i vari stadi, di ricadute, cioè di riproposizione del comportamento target del cambiamento che desideriamo attuare. Risulta essere molto importante non stigmatizzare le ricadute di un familiare, di un amico o di un paziente ma, al contrario, accoglierle senza giudizio, mettendo in evidenza che sono state riconosciute ma promuovendo uno spazio empatico di disponibilità e comunicazione per aiutare ad elaborare l’evento.
Cosa accade, invece, quando ci fermiamo ai primi passi?
Quando resistiamo al cambiamento
L’inconsapevolezza di un comportamento che può ormai risultare disfunzionale, creare, cioè, del disagio in qualche area della nostra vita, e l’ambivalenza rispetto alla possibilità di abbandonarlo sono due elementi che possono rappresentare un ostacolo rilevante per il processo di cambiamento, ma sono fenomeni consueti.
“E adesso che succederà?”.
Spesso, nonostante la curiosità e il desiderio di esplorare, ci lasciamo invischiare in abitudini o routine conosciute e rassicuranti, per gestire la paura del cambiamento e di ciò che porta con sé, talvolta non riconoscendo che abbandonare clichè, che -anche qualora non ce ne accorgessimo- possono nuocerci, ci offrirebbe l’opportunità di migliorare il nostro benessere.
In questo senso può accadere che ci sia utile un supporto per focalizzare e pianificare cambiamenti necessari contro situazioni che ci causano stress
Il cambiamento nella prospettiva umanistica
Nella prospettiva umanistica l’individuo è visto come in continua crescita, verso un’evoluzione tesa a sviluppare il suo naturale potenziale di autorealizzazione. Carl Rogers (1951) riteneva che il nucleo della personalità di ognuno fosse costruttivo e che si esprima autonomamente in assenza di minacce o pericoli, in una situazione di accoglienza e sicurezza. Maslow, allo stesso modo, definisce la tendenza umana all’autorealizzazione come il “desiderio di divenire sempre più ciò che idiosincrasicamente si è, al desiderio di divenire tutto ciò che si è capaci di diventare”. L’autorealizzazione sosterrebbe l’individuo in una efficace percezione della realtà, nella piena accettazione di sè e degli altri, nell’autonomia e nella creatività, che rappresenta la peculiarità degli individui realizzati, che manifestano una spiccata sensibilità ed apertura verso la realtà.
In questo senso, l’approccio umanistico riconosce all’individuo il ruolo di esperto, che, tuttavia, in talune circostanze può trovarsi ad aver bisogno di riattivare il processo di crescita. Può, in questo processo evolutivo di cambiamento, essere sostenuto dal terapeuta che, in un clima di empatia e accettazione positiva incondizionata, assume il ruolo di facilitatore per permettere all’individuo di riattivare le risorse necessarie a fronteggiare lo stress e superarlo.
Bibliografia
Maslow, (1971) Verso una psicologia dell’essere, Astrolabio-Ubaldini, Firenze.
Prochaska, J. & DiClemente, C., (1983) “Stages and processes of self-change of smoking: Toward an integrative model of change”, Journal of Consulting and Clinical Psychology, 51, 390-395.
Rogers, (1951) Terapia centrata sul cliente, La Nuova Italia, Firenze.
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