In questo articolo viene affrontato il trauma che può lasciare tracce visive nella memoria (burned-in visual impressions), sin dai nove mesi di vita.
(Gabbard G. O, 2015)
Una comune risposta difensiva al trauma è il distacco dissociativo che può essere una modalità per allontanare contenuti affettivi troppo intensi. Questo distacco comporta un restringimento del campo cosciente individuale, cosa che può interferire con il riconoscimento del contesto. Ciò, a sua volta, impedisce un pieno processo di registrazione e di elaborazione dei ricordi. Senza il pensiero riflessivo necessario per l’immagazzinamento, il ricordo non viene integrato nella narrazione autobiografica. Inoltre, questo distacco dissociativo può coinvolgere un problema di disconnessione corticale che interferisce con le funzioni cognitive superiori come il linguaggio.
I fenomeni dissociativi possono, pertanto, essere utili all’individuo in un momento iniziale, ma successivamente possono limitare la capacità del cervello di elaborare i ricordi traumatici.
Ciò che fa la differenza, nell’integrazione dell’esperienza traumatica nella propria vita e quindi in una sua elaborazione, sta nelle risorse dell’ambiente circostante ed, in particolar modo, nel supporto ricevuto al momento opportuno – come evidenziato da Sara Micotti, direttrice scientifica di psicoterapia del centro Benedetta D’Intino onlus di Milano. Nell’articolo vengono citate come esempio diverse esperienze in cui viene confermato quanto asserito da Sara Micotti: il riconoscimento della sofferenza attraverso la comprensione empatica del trauma […]protegge i bambini che hanno vissuto degli shock, anche da piccolissimi, nel periodo perinatale.
E ancora l’importanza dell’ambiente, in quanto i genitori si presentano come traduttori di esperienze forti e incomprensibili, che aiutano nella verbalizzazione di quanto vissuto (Sara Micotti). Interessante è il caso di Giacomo, citato da Maccarone, che all’età di 15 mesi vede la sorellina cadere nel vuoto, dopo aver corso sul tetto di un antico fienile. La bambina fu curata dal trauma cranico, ma inizialmente non c’era stata nessuna consulenza psicologica per il fratello che aveva assistito alla scena.
Giacomo da quel giorno iniziò a comunicare solo con i genitori, sviluppando un mutismo selettivo. Dopo aver iniziato una psicoterapia, invece, riuscì ad esprimere nella seduta il timore che accadesse qualcosa di spaventoso e cominciò a connettere sensazioni e ricordi. Dunque, più Giacomo parlava delle sue paure in seduta, più se ne sentiva libero nella vita quotidiana.
Da qui, Sara Micotti aggiunge l’importanza del supporto psicologico per i genitori, che si trovano a dover affrontare sia l’elaborazione dell’esperienza traumatica sia la tendenza all’isolamento che, ancora, a limitare atteggiamenti iperprotettivi nei confronti del figlio. Nello specifico, il senso di isolamento può essere diminuito grazie a gruppi, aumentando il senso di comunità.
Inoltre, sempre per sottolineare l’importanza della psicoterapia nel caso di esperienze traumatiche, è importante citare l’apporto dello psicoanalista francese Jacques Lacan (1951-57). Egli, infatti, riprendendo un termine già introdotto da S. Freud, parlò del concetto di après-coup, per riferirsi ad un momento contemporaneamente traumatico e trasformatore, attraverso un significato che si produce dopo. Secondo lo psicoanalista, infatti, l’evento diventa traumatico quando avviene una ritrascrizione di un contenuto mnestico precedente, che non era stato investito nel suo significato. In questo modo, accade che un evento che viene dopo si fa causa di un evento che viene prima.
Di conseguenza, grazie all’effetto di après-coup, anche il lavoro terapeutico, conferisce una nuova significazione ad un evento che è avvenuto prima, permettendone un’integrazione nell’esperienza.
(Mangini, 2001) A tal proposito, interessante è il caso di Katharina, paziente analizzata da S. Freud nel 1894 e trattato in “Studi sull’Isteria” (1892-1895). La ragazza lamentava un senso di soffocamento che aveva iniziato a provare in seguito alla visione di una scena in cui la sorella subiva delle avances sessuali da parte del padre. In terapia con Freud, emerge che il primo vero trauma della ragazza era stato a 13 anni, quando lei stessa aveva subito tali avances paterne. Tuttavia, tale primo episodio traumatico non era stato pensabile per lei ed era stato come rimosso fino all’episodio in cui aveva visto la sorella.
Dunque, può definirsi secondo tempo del trauma quest’ultimo episodio, a partire dal quale può esprimersi, in un sintomo, quel soffocamento che Katharina aveva provato a 13 anni e che, fino a quel momento, non era stato pensabile. Questo secondo evento traumatico, insieme alla terapia, dà voce e un nuovo significato ad una scena traumatica originaria, muta, che apparentemente non aveva lasciato traccia.
Un altro aspetto su cui, invece, si sofferma Sara Micotti è l’età in cui avviene l’evento traumatico, che provoca diverse conseguenze: infatti nel caso di TIN (terapia intensiva neonatale) il distacco prematuro dalla madre viene percepito proprio come il precipitare in un abisso, generando terrore, congelamento, evitamento, ritardo nello sviluppo delle funzioni simboliche fino ad arrivare, nei casi gravi, ad una dissociazione tra funzioni intellettive ed emotive.
Nell’articolo Mattia Maccarone si concentra con Sara Micotti sulla malattia come trauma in età infantile/adolescenziale, soffermandosi
- su quanto possano incidere gli esami invasivi e/o l’intervento sul bambino, con relativi strascichi postumi
- sull’impatto della diagnosi nel bambino che può essere di difficoltà nell’elaborazione tanto da causare blocchi nel neurosviluppo
- sul cambiamento nella rappresentazione che si ha di sé (da bambino sano a bambino malato) e nella difficoltà di accettazione, con conseguenti sentimenti di vergogna, rabbia e invidia per i compagni sani (si parla di elaborazione del lutto). In parallelo i familiari vicini (genitori, fratelli/sorelle) hanno da affrontare lo stesso cambiamento di rappresentazione di sé (da famigliari di bambino sano a malato) e, a volte, anche un dover modificare la propria vita (stile, abitudini…) per la gestione della malattia
- sulla percezione del proprio corpo che diventa fonte di insicurezza, limitazione ed esclusione sociale, e si amplifica durante l’adolescenza. Ha infatti maggiore risonanza poiché quello adolescenziale è un momento in cui la trasformazione corporea è di per sé centrale. I gruppi di ascolto, ancora una volta, sono delle importanti risorse.
Sempre a riguardo della malattia come trauma, un aspetto rilevante è evidenziato da Andrea Benlodi, che tratta del doppio inganno: situazione che si viene a creare quando i genitori traumatizzati non sono in grado di gestire il proprio dolore per la sofferenza del figlio, e il figlio così assume il ruolo di protettore dei genitori, mettendo in secondo piano la propria emotività. Si parla di doppio inganno in quanto i genitori sembrano dimenticarsi della malattia del figlio, e parallelamente il figlio sembra riappropriarsi di due genitori funzionali e competenti. Questo meccanismo di difesa del figlio viene definito la resa altruistica (Anna Freud), indicando una rinuncia ad una parte di sé a favore del bisogno altrui.
Infine, l’articolo si conclude con un accenno al legame tra stress cronico dovuto al trauma e conseguenze fisiche (Rosa Spagnolo): infatti, il collegamento tra cervello e sistema immunitario può rendere maggiormente predisposti allo sviluppo di malattie.
(Chetta G., 2008) Nello specifico, centrale è l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (asse HPA) durante l’esposizione ad eventi stressanti. Si verifica, infatti, un complesso programma biologico e comportamentale, il cui evento fondamentale è la sovrapproduzione di cortisolo che ha, come conseguenza, un indebolimento delle difese immunitarie (infatti, nella cura di patologie autoimmuni come le dermatiti o l’artrite reumatoide sono spesso usati i cortisonici, molecole sintetiche simili al cortisolo, come farmaci antinfiammatori e immunosoppressori).
Tuttavia, il conseguente indebolimento delle funzioni immunitarie non è preoccupante se dura per brevi periodi, ma può diventare un problema maggiore in caso di stress cronico, in quanto sembra aumentare la probabilità di contrarre malattie infettive e la predisposizione alle malattie autoimmuni.
Evidenziando, dunque, questo legame tra fattori stressanti e risposta fisiologica, si rivela, conseguentemente, di fondamentale importanza il supporto psicologico e la protezione da fattori stressanti nel decorso di una malattia.
A cura di Eleonora Boninsegni e Alessandra Rossitto
Riferimenti bibliografici
Gabbard, G. O., & Madeddu, F. (2015). Psichiatria Psicodinamica. Cortina.
Maccarone M. (2023). Il primo trauma. Mind. Mente & cervello.
Mangini E. (2003). Lezioni sul pensiero freudiano e sue iniziali diramazioni. LED Edizioni Universitarie
Michetta G. (2008). Stress e benessere: educazione mentale nell’ambito della psico-neuro-endocrino-connettivo-immunologia.
Zafiropoulos, M. (2023). Lacan e Lévi-Strauss o “il ritorno a Freud” (1951-1957). Alpes Italia