Il vuoto nel pieno: uno spaccato sulla disposofobia

Tratto dall’articolo di Samira Shackle

Il disturbo da accumulo o disposofobia (dall’inglese to dispose=gettare) comporta un’intensa paura di liberarsi dei propri oggetti personali, rendendo la propria abitazione invivibile sia per le condizioni igieniche che per la mancanza di spazio. Quindi, si tratta di una fobia personale che però ha delle profonde ripercussioni nella sfera pubblica: case piene di oggetti sono più esposte al rischio incendio e rendono più difficile e pericoloso il lavoro dei pompieri; inoltre, chi soffre di questo disturbo e viene ricoverato, non può essere rimandato a casa perché quest’ultima non è sicura. Infine, non si parla di numeri così esigui dato che riguarda tra il 2 e il 6 % della popolazione mondiale, percentuali che hanno avuto un notevole incremento durante la pandemia da Covid-19.
Elisa Jhonson (nome di invenzione) rappresenta alla perfezione la figura di un’accumulatrice seriale: la donna dorme nella stanza del figlio perché quest’ultima non è più in grado di raggiungere il proprio letto, tale è la quantità ingente di oggetti accumulati. Oppure, vi è il racconto di un uomo che, nonostante sia il proprietario di 5 case, è costretto a vivere in macchina per via della mancanza di spazio vitale in ciascuna di esse.
Accumulare così tanti oggetti crea delle situazioni verso le quali si interviene solo nel momento in cui diventano vere e proprie emergenze e l’intervento prevede uno sgombero forzato, che viene vissuto in modo molto invasivo e traumatico da queste persone. Questo tipo di soluzione elimina momentaneamente solo il “sintomo”, ma non è interessata a comprendere le cause. Ciò fa sì che una volta rimosso l’ingente tesoro accumulato, la persona riinizierà pian piano ad accumulare, tornando nuovamente alle vecchie abitudini.
Se capire il problema è una condizione necessaria ma non sufficiente per la cura è comunque un punto di partenza. Lo psicanalista tedesco, Erich Fromm, affermava che accumulare è in realtà un modo per superare l’insicurezza legata alla separazione. In questo modo la persona costruisce un’illusione che ha lo scopo di esorcizzare il terrore della perdita e dell’abbandono. Quindi, degli oggetti materiali acquisiscono un significato che è profondamente simbolico e affettivo per la persona: essi rappresentano i loro sogni, le loro speranze, ciò che potrebbero essere in potenza. Alcuni di loro percepiscono proprio come “se stessero rinunciando ad una parte di sé”.
Sicuramente questo disturbo ha un’elevata comorbilità con disturbi psichiatrici (come depressione e disturbo ossessivo compulsivo), ma siamo certi che non riguardi anche tutti noi? Infondo, le paure di essere abbandonati e della perdita possono essere sperimentate in diverse fasi della vita di ognuno. Infatti, lo studio di Akbari, Seydavi e colleghi (2022) ha dimostrato che, la disregolazione emotiva, ovvero l’incapacità di regolare in modo funzionale alle situazioni i propri vissuti emotivi, è correlata con la tendenza ad accumulare oggetti tanto nelle popolazioni cliniche quanto in quelle in cui sono assenti disturbi psichiatrici.
Il Sistema Sanitario Nazionale non ha emanato delle linee guida chiare per il trattamento di questo disturbo. L’uso della terapia cognitivo-comportamento non ha avuto risultati efficaci e quando viene effettuata solo una pulizia forzata il tasso di ricadute è molto alto. Tuttavia, se si è spaventati dal costo eccessivo nell’implementare questi trattamenti, in realtà non si considera che non utilizzarli risulterebbe economicamente ancora più dispendioso per la salute pubblica.
Per ora, la soluzione migliore riscontrata è quella del “decluttering terapeutico”. Di cosa si tratta? In una prima parte questo intervento prevede che un professionista della salute mentale crei un legame con l’accumulatore. Solo una volta che si è creato un rapporto di fiducia, allora si passerà all’intervento pratico legato al cambiamento del comportamento da accumulo. E’ fondamentale quindi rispettare i tempi della persona, senza farla sentire forzata, ma cercando di far sì che, se stimolata a cambiare i vecchi schemi mentali, sia lei stessa la principale autrice del proprio cambiamento. Per esempio, l’ideatrice di questo trattamento, la psicologa Megan Karnes, ha raccontato che un suo paziente ci ha messo circa 14 settimane per gettar via un solo giornale; ma, da allora, ha iniziato a liberarsi degli oggetti superflui in modo spontaneo.
Infatti, la psicologa ha dichiarato “stiamo cambiando il suo modo di pensare, non lo stiamo costringendo”. L’ostacolo maggiore in questi casi è convincere qualcuno ad accettare l’aiuto: infatti, l’accumulatore si trova spesso in una paralisi scaturita dal voler cambiare da una parte ed il terrore di farlo davvero dall’altra. Inoltre, un intervistato ha affermato “credo che nessuno scelga di essere un accumulatore, vorrei una vita normale, ma non posso farcela da solo.”
In conclusione, cosa spinge quindi queste persone ad accumulare questa grande quantità di oggetti? Perché lo spazio vuoto fa tanta paura?
Da un punto di vista psicoanalitico, il vuoto che viene colmato con un oggetto materiale a cui viene attribuita una valenza affettiva potrebbe essere connesso al concetto winnicottiano di oggetto transizionale. Infatti, secondo lo psicoanalista Donald Winnicott l’oggetto transizionale si colloca al confine tra la realtà interna ed esterna, è un mezzo attraverso il quale il bambino attua il passaggio nella concezione dell’altro, inizialmente inteso come parte di sé, all’altro come separato; in questo modo, si distacca gradualmente dal caregiver e acquisisce la capacità di essere solo pur in presenza dell’altro. In queste persone, questo allontanamento potrebbe essere bloccato perché fonte di un’angoscia intollerabile.
Così un modo naturale di proteggersi dal distacco e dalla perdita diventa un’arma a doppio taglio, perché il vuoto apparentemente colmato diventa pieno di oggetti “vuoti” che impediscono movimento e trasformazione: lo spazio non subito riempito potrebbe essere, invece, potenza, fertilità e fonte di cambiamento. Allora, forse quella parte di bicchiere mezzo vuoto, che fa tanta paura, sarebbe veramente un’opportunità e uno spazio di creatività.
A cura di Eleonora Boninsegni e Alessia Casati

BIBLIOGRAFIA:
Akbari M, Seydavi M, Mohammadkhani S, Turchmanovych N, Chasson GS, Majlesi N, Hajialiani V, Askari T. Emotion dysregulation and hoarding symptoms: A systematic review and meta-analysis. J Clin Psychol. 2022 Jul;78(7):1341-1353.

Samira Shackle (2023). E’ finito lo spazio. Internazionale.

Winnicott, D. W. (1951). Transitional objects and transitional phenomena. London: Tavistock.

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