Perchè lavorare con le emozioni?
Tutti noi siamo spesso “travolti” dalle emozioni. E ne notiamo immediatamente il correlato corporeo, di espressione visibile agli altri, ma anche qualcosa relativo al nostro “sentire” interno. Le emozioni ci guidano, ci definiscono, ci fanno prendere decisioni (eventuale brevissimo riferimento alla int emo?).
Il nostro viso cambia colore, la nostra postura varia e ci parla di fierezza o paura e sottomissione, il cuore, l’organo emozionale per eccellenza batte a gran velocità. La pancia, le viscere, ci costringono ad ascoltare ed ascoltarci. Ma siamo sempre pronti e disponibili a farlo? Siamo capaci di raccogliere questi segnali e viverli, farcene attraversare e trasformarli? Le emozioni sono un fondamentale correlato neutro psicologico che dà colore alla nostra esistenza e ci sostiene nei comportamenti quotidiani. Basti pensare a ciò che anche genericamente chiamiamo stress: una quota di attivazione che ci rende vigili e attenti in situazioni ad esempio di pericolo o di necessaria attenzione.
Ma non sempre siamo in armonia con le nostre emozioni, non sempre siamo stati e siamo capaci di accoglierle il nostro corpo ci parla, è un po’ come guardarsi allo specchio, e non sempre lo specchio ci rimanda cose percepite e vissute come piacevoli. È proprio come la matrigna di Biancaneve, questa verità volte ci è scomoda . E ricorriamo a trucchi e belletti, che nel linguaggio bioenergetica sono le contratture, i sequestri, gli spostamenti. A volte ci facciamo “sequestrare” da emozioni, che ci tengono imprigionati, le soffochiamo, non le riconosciamo, le trasformavamo in altro.
Il lavoro terapeutico sul carattere di ognuno di noi ha a che fare proprio con un percorso di riconoscimento delle nostre emozioni, non nel senso di un controllo, ma nella direzione di una loro piena e spontanea, per dirla in termini Moreniani, espressione, e per una piena realizzazione del nostro carattere.
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Lowen ha parlato appunto di carattere, che in relazione al noto concetto di personalità definiscono il rapporto che ognuno ha con il proprio corpo, ovvero con il proprio vissuto corporeo. La personalità che spesso viene definita mediante tratti definisce la l’azione del se con l’ambiente, e spesso legata al comportamento, alla parte visibile. Il carattere ha a che fare con qualcosa che è dentro di noi, e che parla del nostro rapporto con il corpo.
Il cammino terapeutico ad indirizzo Umanista propone al paziente un cammino di questo tipo. Un cammino di riconoscimento delle emozioni, di alfabetizzazione emotiva perché spesso non sappiamo come nominare ciò che ci accade, a volte le persone sono in difficoltà nel rispondere alla domanda “cosa hai provato?”, usiamo sempre gli stessi termini, le stesse parole e diamo colori limitati alla nostra esperienza.
Le emozioni quindi vanno prima riconosciute, anche attraverso esercizi semplici, che ci mettono a confronto ad scempio con uno specchio, o con un disegno della nostra sagoma corporea. Gli esercizi proposti hanno a che fare anche con un “sentire” a livello fisico: la propria postura, El proprie contratturele tensioni che avvertiamo nel corpo,, le espressioni abituali.
Sentire pienamente il proprio stato emozionale ci rende empatici, ci rende capaci di comprendere appieno il nostro mondo, e noi nel mondo.
E per far ciò il cammino psicoterapeutico e a volte lento, bisogna creare le condizioni affinché la persona sia pronta a seguire le emozioni, a lasciarsene attraversare, a non mandarle via. Attraverso esercizi e tecniche di stampo umanista le persone si rendono disponibili e consapevoli a sentire anche dov’è queste emozioni hanno origine, in relazione al proprio corpo, da dove nascono, e per quali distretti corporei fluiscono.
Le emozioni sono il sale della nostra vita, uno strumento di comprensione del mondo, un processo ad attivo fondamentale per il nostro stare nel mondo. Ecco perché per noi è così importante aiutare le persone a vivere pienamente l’arcobaleno emozionale che ne colora il cielo.
Nelle persone, per fare ciò bisogna risvegliare la curiosità per il riconoscimento del proprio stato emotivo, anche mettendole in situazioni inaspettate e “sorprendenti”. I nostri pazienti,a volte anche esperti “utilizzatori” del proprio corpo quali atleti, ballerini, ginnasti,si stupiscono nello scoprirsi più o meno capaci di eseguire alcuni esercizi bioenergetica, si meravigliano di quanto il loro sentire in relazione al loro corpo non sia così trasparente, sia ancora in parte ignoto.
Per questo il terapeuta umanista predispone in terapia tutta una serie di elementi del settimo che accompagnano e facilitano questo percorso. Costruiscono una situazione di agio e accoglienza peri la azionate, anche in senso fisico, e in relazione all ambiente, a volte si spinge sulla personalizzazione dell’ambiente stesso, a differenza di altri approcci non si è “asettici” o rigidamente riservati, ma accoglienti e pronti a ricostruire una atmosfera contraddistinta sia da professionalità e affidabilità ma anche di gesti quotidiani e caldi. Anche l’offrire nell’attesa una tisana o una bevanda predispone ad un cammino impegnativo, fatto anche di cedimenti e di “resa” nei confronti delle proprie difese e rigidità. Un ambiente confortevole, con spazi adatti, facilità l’esecuzione di alcuni esercizi e procedure. L persona nella stanza spesso sceglie dove sedersi, dove riporre i propri oggetti, e noi facilitiamo questo arredando i nostri spazi di lavoro in modo simmetrico, senza caratterizzazioni eccessive rispetto alle posizioni delle poltrone, delle sedie e dei divani.
Spesso, per non dire sempre, il terapeuta umanista si è lasciato attraversare dalle stesse esperienze che propone ai suoi pazienti. Magari con qualche variazione, ma deve essere esperto conoscitore del proprio corpo e del proprio respiro, proprio per agire in maniera autentica quell’empatia e quella vicinanza necessaria al trattamento.
Per questo gli esercizi che proponiamo in terapia devono essere visti non come un insieme di tecniche riproducibili dopo una lettura superficiale. Sono un supporto che ha alla base una preparazione completa del bioenergeta. La tecnica è un terreno, è una scusa, spesso è addirittura un diversivo per arrivare da qualche altra parte.

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