La relazione madre-bambino: 3 strategie per arricchirla con l’alfabetizzazione emotiva, una lettura dell’approccio umanistico e bioenergetico

La relazione madre-bambino

La relazione con la madre, fin dalle primissime fasi di vita, è il rapporto più significativo che il bambino instaura. Infatti, già in una fase così precoce della vita, il bambino è in grado di orientare selettivamente l’attenzione verso la madre, che diventa il partner privilegiato nell’interazione con la realtà esterna.  La madre in questo senso fornisce al bambino dei filtri con cui rapportarsi al mondo esterno. Questa competenza sembra fondare le proprie origini nel periodo prenatale, durante il quale si organizzano degli schemi innati di riconoscimento dell’ambiente materno (De Casper & Fifer, 1980), che l’apprendimento, attraverso l’esperienza e quindi l’evoluzione cognitiva, contribuirà ad affinare.  Ad esempio, Trevarthen tramite l’interazione differita (Murray e Trevarthen, 1985),  nota che, già a due mesi di vita, il bambino è in grado di reagire alla mancanza di sintonia della mimica materna, mediante cambiamenti nelle espressioni facciali, vocali e gestuali.  Infatti, tali competenze testimoniano che il bambino non è solo sensibile alla forma e all’animazione del viso materno, ma anche alla qualità della sua mimica.

 

La risposta materna ai bisogni del bambino

Il costrutto della sensibilità, definito dalla teoria dell’attaccamento come la prontezza delle risposte materne ai bisogni infantili (Ainsworth, Blehar, Waters e Wall, 1978), è stato esteso alla capacità della madre di comunicare con il proprio bambino a livello emotivo, mostrandosi in grado di recepirne e comprenderne i segnali affettivi. Durante gli scambi interattivi, infatti, si stabilisce uno stato di connessione emozionale, che consente l’anticipazione dei bisogni del bambino ed il loro soddisfacimento al momento giusto, permettendo di entrare in sintonia e facilitando una mutua regolazione affettiva (Tronick e Weinberg, 1997). La reciprocità interattiva, durante gli scambi faccia-a-faccia tra madre e bambino, è mediata da entrambi.  Ad esempio, durata, forma e intensità delle proprie espressioni emotive, premettono la creazione di scambi armoniosi e complementari con l’altro (Ammaniti, Cimino e Trentini, 2007), consentendo anche di riparare momentanee rotture interattive.  Tale legame consente al bambino di affinare le proprie capacità di regolazione, permettendo di sentirsi competente all’interno di interazioni affettive significative. A seconda della disponibilità emotiva della madre, il figlio apprende progressivamente specifici stili con cui fronteggiare le varie tensioni emotive, ponendo la madre come elemento di regolazione esterna.  Nei primi due anni di vita è fondamentale che la madre tenga conto della lettura dello stato affettivo del bambino non producendo distorsioni in base alle proprie aspettative. Infatti, il genitore rappresenterebbe una “base sicura” (Ainsworth, et al., 1978), la figura che trasmette cure, sicurezza, alleviamento dello stress nel genitore e promuove la sicurezza nell’esplorare il mondo esterno. A seconda dello stile genitoriale, la qualità della relazione presenta uno stile di attaccamento che si svilupperà sulla base di esso.  In altre parole, nel tentativo di fronteggiare gli effetti negativi dei fallimenti della regolazione reciproca, i bambini possono strutturare uno stile difensivo personale, caratterizzato da tristezza, rabbia e mancanza di fiducia nella madre, oppure, sviluppare modelli relazionali difensivi, caratterizzati da un eccesso, o, al contrario, da una limitazione delle proprie capacità di autoregolazione.

 

Condizioni di rischio che possono minare la relazione madre-bambino

Nelle prime fasi dello sviluppo, si vanno a creare i presupposti organizzativi del caregiving, cioè l’insieme dei comportamenti che consentono alla madre di prendersi cura del neonato, rispondendo ai suoi bisogni primari e di attaccamento, influenzandone la crescita. Ad esempio, quando l’adulto non è capace di comprendere e rispondere ai bisogni del bambino, oppure quando è incostante o disorganizzato nell’accudimento, potrebbe compromettere un sano sviluppo emotivo, che potrebbe perdurare fino all’età adulta.

La letteratura scientifica ha riconosciuto svariati fattori di rischio che possono minare la relazione primaria madre-figlio. Ad esempio, basso livello socio-economico, isolamento delle famiglie dal contesto sociale, difficoltà economiche e lavorative, disoccupazione, condizioni abitative inadeguate per igiene e spazi, o emarginazione sociale, risultano essere importanti fattori di rischio socio-demografico. Allo stesso modo dello stress psico-sociale, è stato sottolineato anche il ruolo patogeno svolto dai diversi stress familiari, come: isolamento dalle rispettive famiglie di origine, status di famiglia monoparentale, condizioni di pluriparità, eventi di vita stressanti, come aborti, separazioni, lutti, conflittualità genitoriale, età dei genitori (troppo giovane o troppo avanzata), presenza di storie patologiche psichiatriche familiari, inversione dei ruoli genitoriali, violenza intra-familiare, abuso fisico e/o sessuale. La letteratura ha documentato a questo proposito come le madri a rischio psicosociale risultino meno responsive e sensibili ai segnali dei loro bambini, utilizzando stili relazionali che espongono i bambini ad un maggiore rischio di maltrattamento (Evans, Gonnella, Marcynyszyn, Gentile, & Salpekar, 2005).

 

Una lettura della relazione madre-bambino dell’approccio umanistico e bioenergetico

Nell’interesse dell’approccio umanistico e bioenergetico la relazione madre-bambino risulta essere fondamentale sia per gli aspetti quali il rispecchiamento e quindi fornire al bambino modalità di relazionarsi con gli altri ma soprattutto con i propri stati interni. A questo proposito si possono individuare 5 principali categorie entro le quali vengono racchiusi tutti i bisogni che Maslow rappresenta attraverso la raffigurazione di una piramide: partendo dal basso, troviamo i bisogni di base di ciascun individuo e salendo via via lungo la piramide si collocano le necessità che si sviluppano mano a mano che i bisogni sottostanti sono stati appagati, almeno in gran parte.

Bisogni fisiologici: si tratta di tutti quei bisogni legati alla sopravvivenza umana. In questa prima categoria rientrano il bisogno di respirare, la necessità di bere, mangiare e dormire. Si parla in generale di Omeostasi, vale a dire la tendenza naturale al raggiungimento di una relativa stabilità da parte di ciascun individuo;

Bisogni di sicurezza: in questa categoria rientrano tutti i bisogni legati alla sicurezza. Una volta infatti che è garantita la sopravvivenza, sarà naturale per l’individuo cercare ad esempio un rifugio o una casa accogliente. Rientra nel secondo livello anche la sicurezza sperimentata nel contesto familiare; sarà quindi molto importante in tal senso garantire la percezione di sicurezza nei legami e nell’affettività familiare.

Bisogni di appartenenza: nel terzo livello troviamo i bisogni dell’uomo in quanto animale sociale. Quindi troveremo sostanzialmente la necessità di essere inserito e accettato all’interno di uno o più gruppi o comunità, di una relazione amorosa e di una famiglia;

Bisogni di stima: un gradino più in su, nel penultimo livello si trovano i bisogni di stima. L’uomo ha bisogno di essere rispettato dagli altri e di percepire il suo valore come riconosciuto, permettendogli così di sentirsi approvato. È necessario che ciò avvenga entro le relazioni con le proprie figure di riferimento, nei contesti paritari ed anche in quelli di realizzazione personale e  professionale.

Bisogni di autorealizzazione: all’apice della piramide, infine, si trovano quei bisogni che, se soddisfatti, ti permetteranno di raggiungere il tuo pieno potenziale. Secondo lo stesso Maslow l’autorealizzazione può essere intesa come il completo uso o il mettere a frutto dei propri talenti, delle proprie capacità e delle proprie potenzialità. Ciascun individuo, essendo mosso da interessi differenti, può trovare la propria realizzazione negli ambiti più svariati. Autori come Daniel Goleman e Rafael Bisquerra hanno mostrato grande interesse per questo concetto e ancor più per il suo sviluppo. Goleman, in particolare, sottolinea che l’educazione del carattere, sopratutto lo sviluppo morale e la civiltà di un individuo vanno di pari passo con l’alfabetizzazione emotiva e l’educazione dell’intelligenza emotiva. In questo senso, l’alfabetizzazione emotiva si pone come un’opportunità per affrontare i comportamenti di disturbo, l’aggressività o i conflitti nelle relazioni interpersonali.

Ma che cos’è l’alfabetizzazione emotiva? La parola “alfabetizzare” è comunemente associata al processo di insegnamento della lettura o della scrittura. Competenze di base in ambito educativo. Tuttavia, sembra che questo concetto sia stato progressivamente associato a diversi ambiti a seconda del contenuto dell’insegnamento. Alcuni esempi sono espressioni quali alfabetizzazione informatica, scientifica o tecnologica. Considerando questi progressi, non possiamo evitare di pensare che l’educazione sembri affrontare nuove sfide. Tra queste, una delle più diffuse e interessanti per il nostro benessere è l’alfabetizzazione emotiva: il processo di educazione alle emozioni. L’alfabetizzazione emotiva è infatti un processo che si costruisce nel tempo ma che fonda le sue basi sulle prime relazioni che il bambino instaura.

L’alfabetizzazione emotiva si propone una serie di obiettivi tra cui:

  • Sapere cosa sono le emozioni e come riconoscerle negli altri.
  • Imparare a riconoscere e nominare le emozioni.
  • Modulare e gestire il livello di emotività.
  • Sviluppare la tolleranza alle frustrazioni della vita quotidiana.
  • Costruire la resilienza.
  • Adottare un atteggiamento positivo verso la vita.
  • Prevenire i conflitti interpersonali.

 

Tre pratici consigli per potenziare l’alfabetizzazione emotiva favorendone lo sviluppo nei propri figli:

  • Aiutarli a ridurre le emozioni negative così che non possano sopraffarli. Ad esempio, quando appaiono “disturbati” dal comportamento di qualcuno, evitiamo di saltare a conclusioni affrettate e negative, ma cerchiamo di vedere la situazione da altri punti di vista prima di agire (ad esempio nel caso di un conflitto tra pari farli riflettere sul fatto che un amico non abbia risposto al telefono perché molto occupato e non necessariamente perché mi voglia ignorare). Ampliando la prospettiva, possiamo ridurre la possibilità di un equivoco.
  • Favorire lo sviluppo dell’assertività, ovvero saper esprimere il proprio disaccordo senza essere aggressivi, nel rispetto del punto di avvista altrui, saper “dire di no” senza sentirsi in colpa, etc… Per esempio stimolare i proprio figli ad evitare di iniziare le frasi con “tu” seguito da accuse o giudizi, altrimenti l’interlocutore si metterà sulla difensiva, rendendolo meno propenso e aperto ad ascoltare e accogliere ciò che voi avete da dire.
  • Inoltre, imparare ad agire anziché reagire: se vostro figlio appare arrabbiato nei confronti di qualcuno, aiutatelo a riflettere, prima di dire qualcosa di cui potrebbe poi pentirsi, consigliategli di fare un respiro profondo e contate lentamente fino a 10. Un altro modo per ridurre la reattività potrebbe essere quello di cercare, anche solo per un momento, di mettersi nei panni dell’interlocutore cercando di capire l’altro senza giustificarlo in nessun modo ma attivando un processo di confronto.

Per questo nell’approccio umanistico bioenergetico integrato principale attenzione viene data all’alfabetizzazione emozionale, in modo tale da non spaventarsi di fronte le proprie emozioni ma così da saperle gestire in maniera funzionale al proprio benessere.

 

Bibliografia

Ainsworth, M., Blehar, M., Waters, E., & Wall, S. (1978). Patterns of attachment: A psychological study of the Strange Situation. Hillsdale, NJ: Erlbaum.

Ammaniti, M., Cimino, S., & Trentini, C., (2007). Quando le madri non sono felici. La depressione post-partum. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore.

DeCasper, A. & Fifer, W. (1980). Of human bonding: Newborns prefer their mother’s voices. Science 208, 1174-1176.

Evans, G. W., Gonnella, C., Marcynyszyn, L. A., Gentile, L., & Salpekar, N. (2005). The role of chaos in poverty socioemotional adjustment. Psychological Science, 16, 560–565.

Murray, L. and Trevarthen, C. 1985. “Emotional regulation of interactions between two-month-olds and their mothers.”. In Social perception in infants Edited by: Field, T. M. and Fox, N. A. 177–197.

Tronick, E. Z., & Weinberg, M. K. (1997). Depressed mothers and infants: Failure to form dyadic states of consciousness. In L. Murray & P. J. Cooper (Eds.), Postpartum depression and infant development (pp. 54-81). New York: Guilford Press.

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