Il ruolo dello psicologo nel sistema scolastico e formativo*
Ci sono molte ragioni per attribuire allo psicologo un ruolo strategico nel panorama del sistema educativo.
Di fatto, però, se con curiosità e sguardo benevolo ci accingessimo a leggere uno degli ultimi documenti che ha investito la scuola, “la buona scuola” ovvero la legge 13 luglio 2015, n. 107 ci accorgeremmo che la parola “psicologo” non è mai nominata nel testo. Neanche “benessere”, “sentimenti”, “psicologico”.
La parola “orientamento”, da sempre ambito di intervento e cavallo di battaglia dello psicologo a scuola viene nominata tre volte. Tre volte.
Non c’è “disagio”, mentre c’è “disabilità”. C’è “bullismo”, c’è “dispersione”, ma sempre nominati poche volte e comunque non in relazione a come o con quali figure e competenze bisognerebbe far fronte a questi indicatori di disagio, ma solo come richiamo ad una tematica degna di attenzione.
Certo, è un documento di riordino del sistema scolastico, ma ha (avuto) la pretesa di identificare una differente visione (una buona scuola, appunto) e tracciare alcune linee anche operative.
Però pare non ci sia posto per lo psicologo.
Ma a leggere bene, (o anche senza leggere, e pensando alla nostra esperienza scolastica, alla scuola che abbiamo conosciuto) c’è molto molto posto per la psicologia.
Pur non avendo un chiaro riconoscimento formale (c’è una consistente quantità di disegni di legge sullo psicologo scolastico, ma che non sono mai approdati ad indicazioni normative vere e proprie), lo psicologo è comunque nella e per la scuola, lavora presso istituzioni che spesso si dotano di uno “psicologo scolastico”, e c’è una consolidata letteratura scientifica e corsi di laurea che formano alla psicologia scolastica1.
E quindi che risposte possiamo dare?
La psicologia può senz’altro dare risposte al sistema scolastico, ad esempio sostenendo la necessità indubbia che la scuola ha di rappresentarsi e ri-narrarsi in maniera differente come organizzazione.
La psicologia, o se volete lo psicologo può sostenere le forme di comunicazione e relazione che nascono dalle interazioni che costituiscono il sistema scolastico. La scuola, come ci suggerisce Tullio De Mauro, è un’organizzazione complessa, che ha a che fare con le relazioni e i significati che si scambiano le sue componenti essenziali: quella di chi sta studiando, quella di chi insegna, quella di chi si preoccupa di migliorare le interazioni tra le prime due. Forse in questa funzione di “preoccuparsi” di tenere assieme dei pezzi la psicologia, lo psicologo ha assolutamente molto da dire e da fare.
Oltre che formazione, la scuola è chiamata spesso a rispondere a bisogni sia cognitivi che affettivo-emozionali.
Ci si ricorda che i nostri figli vanno a scuola solo quando il cosiddetto bullismo, o il branco, o la disoccupazione mettono la scuola al centro di ciò che non è o ciò che dovrebbe essere. E allora si richiede, spesso, l’intervento “specialistico” che mira a sanare una deviazione dalla norma.
Ma la scuola è inclusione, non esclusione, è forse l’unico terreno dove esclusi possono trovare cittadinanza, dove le deviazioni dalla norma sono anche fonte di riflessione e messa in discussione dell’intero sistema.
Sia chiaro, l’intervento specialistico è necessario laddove è necessaria una diagnosi, una valutazione, un intervento mirato. Il sapere psicologico ci suggerisce che all’interno di un gruppo classe, ad esempio, il disagio (semmai volessimo definirlo individuale) entra con il suo corollario di significati, di vissuti, e allora coinvolge e scuote il sistema, che è chiamato a “metabolizzare” ciò che accade nel qui ed ora del percorso scolastico. il cosiddetto disagio riguarda il compagno di banco, lo studente del banco accanto, l’insegnante, il personale ATA, il dirigente, le famiglie.
La scuola è un pezzo del e nel sistema comunitario, come direbbe U. Bronfenbrenner: la scuola “ecologicamente” entra in relazione con altri sistemi, all’interno di un sistema più grande.
La scuola produce significati, accoglie, forma, modella, include ed esclude.
In senso generale, la scuola ha la responsabilità formale di rendere disponibili all’individuo le risorse utili a soddisfare i propri bisogni e i propri desideri connessi all’esistenza (o almeno ad una fetta dell’esistenza) questi ultimi intesi come desideri diretti verso un oggetto e motivanti l’azione.
Tutto ciò è un lavoro senza dubbio psicologico.
Lo psicologo è un professionista delle relazioni, è colui che facilita, accompagna, sostiene lo sviluppo e la gestione delle relazioni fra sistemi (scuola, famiglie, territorio), entro i sistemi (la singola famiglia, le relazioni fra studenti e/o fra insegnanti) e dell’individuo verso l’ambiente. Per fornire competenze all’individuo e al sistema le discipline psicologiche hanno senz’altro strumenti consolidati, su più livelli del sistema: per sostenere i singoli studenti, il gruppo classe, gli insegnanti e la loro relazione, la relazione con l’istituzione scolastica e le parti del sistema.
E allora, forse non dobbiamo pensare allo psicologo a scuola come l’ennesima bandierina da piantare in un sistema pubblico che dovrebbe dare lavoro agli psicologi, ma come la grande opportunità di pensare al sistema scolastico ed educativo anche come un terreno dove l’apporto della psicologia è di supporto alle relazioni, alle organizzazioni, è un insieme di strumenti di prevenzione e sostegno al disagio, in una dimensione ecologica e di empowerment.
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