Oggi faccio visita a me stesso.

Chi si sottrae costantemente

alla solitudine, lo fa a spese del

suo sviluppo personale.

A un certo punto dobbiamo

Alzarci in piedi nel nostro cammino

Guardare noi stessi negli occhi e,

forse, osservare la nostra vita

secondo una nuova prospettiva.

Tudor-Sandahl

LA SOLITUDINE

Il vocabolario Treccani definisce la solitudine come la condizione, lo stato di chi è solo, come situazione passeggera o duratura. In questo senso, può risultare uno stato sofferto, subito, oppure una circostanza ricercata in funzione della propria intimità.

È fortemente legata al proprio senso di identità che si struttura fin dalla più tenera età attraverso la paura e l’incertezza dell’abbandono da parte della madre, allo stress emotivo legato alla separazione, al senso di vuoto e di inutilità, ecco perché la solitudine ci spaventa tanto.( Lo Iacono, 2003)
Tutti abbiamo conosciuto questa “compagna” anche se, in vari modi, costruiamo ognuno con i propri colori e i propri vissuti, il proprio modo di vivere e negare la solitudine. Ecco perchè negare la solitudine equivale a negare se stessi.
La solitudine è un deserto fortemente abitato. Si infiltra in tutte le personalità, alcune arricchendole, altre tormentandole, altre accompagnandole per un breve tragitto.
Quando non sappiamo riconoscere cosa stiamo cercando nelle nostre vite, i nostri bisogni e desideri, diventiamo sempre più dipendenti dalla paura della nostra solitudine, si sta quasi in apnea per l’ansia di incontrarla dietro l’angolo.
Proprio per questo è importante per ognuno imparare a riconoscere ed accettare la propria solitudine ed esserne consapevoli. Diversamente le fughe da essa ci conducono in una profonda alienazione.
Una persona capace invece di abbandonarsi e di arrendersi alla propria solitudine risulterà senz’altro cambiata ed accresciuta da questa profonda esperienza.

RIEMPIRE LA SOLITUDINE

Quando la solitudine non viene accettata, e anzi le si rema contro, subentra insieme ad essa una fuga dalla realtà ed iniziano la ricerca di un rifugio nella dipendenza o nella malattia. Per non incontrare quelle tenebre, per non conoscere i propri vuoti, spesso ci si rifugia dentro queste situazioni di dipendenza che ancor più svuotano di valore la vita.

Come sottolinea anche Lo Iacono nel suo libro “Psicologia della solitudine” (2003), non è infrequente tentare di colmare i vuoti che la solitudine ci procura attraverso atteggiamenti e comportamenti compulsivi: alcol, droghe, alimentazione discontrollata sono solo alcuni esempi.

Anche le relazioni fusionali sono un modo attraverso il quale le persone cercano di colmare la propria solitudine.
Spesso dunque la nostra solitudine ci fa perdere il senso reale delle cose e quindi ci fa accontentare di pseudo-amori, pseudo-conoscenze, pseudo-esperienze, per non sentirci soli e abbandonati.
In realtà il vuoto è trascinato dietro, qualunque cosa si faccia. Più si cerca di scappare, riempiendo, più cresce.

LA SOLITUDINE COME ESPERIENZA DI SE’

La solitudine non è solo un deserto da riempire, ma un’occasione di incontro con noi stessi, che costruisce ed insegna.
Fare esperienza di sé significa conoscersi, comprendersi, percepirsi in tutto ciò che ci costituisce, è la possibilità di accedere alla parte più profonda di noi stessi, anche quella meno consapevole. Possiamo scoprire qualcosa di nuovo solo prendendoci del tempo per fermarci e per entrare in contatto con noi stessi e con i nostri reali bisogni e desideri.
L’esperienza della solitudine ci permette proprio questo: portare avanti il processo di attuazione di sé sperimentando il proprio io. Ci permette di scoprire cosa ci fa bene, cosa è importante per noi, chi siamo e cosa vogliamo raggiungere e ottenere nelle nostre vite.
Solo questo renderà possibile una l’apertura e l’intimità con l’altro. E’ appunto la scoperta della propria identità il presupposto essenziale della nostra capacità relazionale.
Fare i conti con quella dolorosa solitudine è un invito ad andare oltre i propri confini e può rivelarsi un dono che dobbiamo proteggere e preservare, poiché la nostra solitudine svela a noi stessi un vuoto che può essere distruttivo se lo fraintendiamo, ma che può essere colmo di fiducia per colui che riesce a tollerarla come una dolce pena. (Nouwen, 1979)
In altre parole la frustrazione e la pena che proviamo nel vivere la solitudine possono paralizzarci, deprimerci e portarci anche alla disperazione, possono però anche stimolarci e motivarci nell’assumerci la responsabilità della nostra vita, in modo autonomo e creativo. Dobbiamo per questo però concederci di passare attraverso la solitudine. Nella solitudine c’è sensibilità, c’è sentire e percepire, c’è rispetto di sé e delle promesse che ci stiamo facendo, c’è sentimento e slancio alla vita. La solitudine ci stimola a metterci in cammino e ci aiuta a sviluppare l’interesse verso l’esterno.

BIBLIOGRAFIA

Bani A., Miniati M., (2016), Aspetti psicologici della solitudine, Toscana Medica. Mensile di informazione e dibattito per i medici toscani, a cura dell’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri di Firenze, Firenze;

Lo Iacono A., (2003), Psicologia della solitudine, Editori Riuniti, Roma;

Müller W., (2006), Soli, ma non in solitudine, San Paolo Edizioni, Firenze

Nouwen H. J. M., (1979), The wounded Healer, Garden City, New York: Doubleday Image;

Tudor-Sandahl P., (2013), Verabredung mit mir selbst – Von der Kraft, die im Alleinsein liegt,
Verlag Herder, Freiburg.

 

 

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