Una fobia per il mantenimento dello status quo

Tratto dall’articolo di Tess Wilkinson-Ryan, Aeon
Avete mai sentito parlare della sugrophobia? Se la risposta è no, è molto probabile che l’abbiate sperimentata. Infatti, si tratta proprio del timore di essere raggirati, truffati ed è una delle paure più inconsciamente diffuse. La conferma della sua diffusione si può già trovare in varie lingue. Infatti, la parola inglese sucker, trad “fesso, babbeo”, deriva dal termine latino sugere ed ha il significato di succhiare. In italiano ci sono moltissimi sinonimi con il significato di fesso, tonto, sciocco ecc.
Da una parte, porre attenzioni sulle intenzioni altrui può essere adattivo e può permettere di evitare truffe. Tuttavia, nel momento in cui diventa una paura pervasiva si parla di fobia; essa provoca estrema sfiducia nei confronti del prossimo e danneggia ogni possibilità di cooperazione e solidarietà tra persone. Questo meccanismo viene spesso sfruttato nella propaganda politica: per esempio, Trump nel 2016, nella campagna per le elezioni presidenziali, raccontò un aneddoto con il fine di condannare un atteggiamento accogliente nei confronti dell’immigrazione. La storiella narrava di un serpente che chiede riparo ad una donna, la quale poi viene morsa e avvelenata dallo stesso. Dinanzi allo stupore della donna, il serpente le ricorda la sua natura, nella quale non avrebbe dovuto riporre fiducia.
Questa paura è connessa anche a due sentimenti: l’autorecriminazione per l’essersi fidati e la vergogna per l’essersi fidati della persona sbagliata. Infatti, un esperimento ha dimostrato che questi due sentimenti sono tanto maggiori quando la fiducia è riposta in un essere umano piuttosto che in una macchina. Quando, appunto, i soggetti dell’esperimento si trovavano a dover investire dei soldi affidandosi ad un’altra persona con la possibilità di essere truffati oppure nei confronti di una macchina, con la possibilità che quest’ultima non restituisse indietro i soldi, investivano molto più spesso nel caso della macchina.
Sorge qui una questione che ha a che fare con lo status sociale: “Se lascio che si approfittino di me, io che cosa divento?”. Questa domanda infatti diventa tanto più predominante quando il timore è che l’approfittatore sia una persona di status inferiore, facendo sentire ancor di più la sensazione di esser stati sciocchi e ingenui. Infatti, altri esperimenti hanno dimostrato come l’imbarazzo per l’inganno sia maggiore quando esso è attuato da un sottoposto nei confronti del capo, più che il contrario.
Questa forte paura cerca di tutelare quello che è l’ordine gerarchico: lo psicologo Jim Sidanius e la collega Felicia Pratto hanno studiato e teorizzato come le società tendano a generare categorie fatte di pregiudizi e stereotipi, che permangono nel tempo e contribuiscono a mantenere l’ordine sociale. Ciò promuove l’idea che ci siano dei gruppi gerarchicamente superiori e altri inferiori e che le lotte attuate da questi ultimi siano per ottenere dei privilegi speciali e immeritati, invece che dei diritti umani.
Ma cosa sono i pregiudizi e che ruolo hanno?
Il pregiudizio da una parte è una tendenza tipica dei processi cognitivi e sociali, che influenza le persone e rispecchia un tentativo di dare un significato all’esperienza. Esso ha una connotazione fortemente intergruppale: caratterizza le azioni che avvengono tra gli individui (Brown, 1997). Ciò implica che spesso avere un atteggiamento pregiudiziale verso qualcuno significa valutarlo in base alle caratteristiche che si riferiscono al suo gruppo di appartenenza. Inoltre, i pregiudizi rimangono nonostante eventi che li contraddicono, poiché si basano su criteri di valore.
Spesso si creano delle distorsioni cognitive nei processi di valutazione individuale, che prendono il nome di bias intergruppali e inducono le persone a preferire chi appartiene al proprio gruppo (ingroup), a discapito di chi non ne fa parte (outgroup). Questi bias contribuiscono grandemente alle discriminazioni razziali.
Da una parte quindi, discriminare l’altro da sé esorcizza la paura del diverso, dall’altra, come sostenuto nella visione dello psicoanalista A. Bion, individuare un outgroup, un caproespiatorio a cui attribuire tutti i mali, rafforza l’identità gruppale. La sugrophobia, in questo senso, potrebbe essere alimentata e alimentare a sua volta, queste distorsioni cognitive, che generano sfiducia e paura nell’altro, rafforzando le diversità intese in termini negativi, più che come possibilità di crescita e di incontri arricchenti.
Infine, come precedentemente descritto, tale sfiducia induce immobilità, mantiene lo status quo e le gerarchie sociali, piuttosto che favorire un certo dinamismo e possibilità di cambiamento.
Bibliografia
Brown, Psicologia sociale del pregiudizio, Bologna: Il Mulino, 1997.
Miglietta, A. (2020). Pregiudizi e stereotipi: lo sguardo della psicologia sociale. In L’Islam plurale, Peercorsi multidisciplinari tra migrazioni, diversità e dialogo culturale (pp. 223-239). Accademia University Press.
Tess Wilkinson-Ryan, Aeon (2023). Tanto non mi freghi. Internazionale

A cura di Eleonora Boninsegni ed Alessia Casati

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