Fare il padre: un processo in divenire

Diventare padre

La paternità, come assunzione del ruolo genitoriale, risulta, analogamente alla maternità, un lungo processo evolutivo che comporta una ristrutturazione psicologica e una rielaborazione della propria storia personale. Tuttavia, è un processo più lento, che vede un’impennata nel secondo trimestre di gravidanza alla percezione dei movimenti fetali. In questo momento si rafforza il contatto; tali movimenti consolidano ed aumentano il coinvolgimento paterno e la presa di coscienza rispetto alla reale presenza del bambino (De Carlo Giannini, Del Papa, Ceccarelli, 1981) culminando nel momento del parto in cui, con l’incontro con il bambino, gli uomini si sentono veramente padri (Smorti 1987).

Tuttavia è sin dalle prime fasi della gravidanza che i futuri padri sentono già il coinvolgimento come parte di una “coppia in travaglio” (Genesoni & Tallandini, 2009) e ciò è ancor più vero a seguito del cambiamento nella concettualizzazione del padre, che porta interesse nell’avere un ruolo attivo negli eventi della gravidanza, nonostante la possibilità di sentimenti ambivalenti ad essa riferiti, in funzione di particolari difficoltà che l’uomo può esperire: un sentimento di irrealtà legato alla mancanza di evidenza tangibile dell’esistenza del bambino, la necessaria ristrutturazione della coppia in funzione di diverse aspettative e necessità, ed un possibile peggioramento nel suo funzionamento, il progressivo adattamento al ruolo genitoriale, sia a livello individuale sia sociale.

La transizione biologica alla paternità avviene nel momento del parto, che spesso causa sentimenti di ansia, vulnerabilità e di inutilità, con la relativa tensione tra desideri di partecipare ma anche di fuggire, ed è riportato come inaspettatamente arduo e faticoso, nonostante compensi i sentimenti negativi che vengono ad associarsi a sentimenti di gioia e orgoglio.

Con l’arrivo del bambino, il padre comincia a confrontarsi con l’integrazione del nuovo ruolo a livello sociale e numerose sono le difficoltà che possono presentarsi: il desiderio di partecipare alla vita familiare contrapposto alla necessità di provvedere alla famiglia, con conseguente mancanza di tempo per stabilire un legame intimo con i figli, un peggioramento dello stile di vita e della qualità della relazione con la partner, una percezione di incompetenza rispetto alla madre e la necessità di comprendere meglio le caratteristiche del proprio figlio. Spesso tali difficoltà vengo risolte tramite una progressiva acquisizione delle capacità di caregiving fondamentali e di conoscenza del proprio bambino, imparando a riconoscerne bisogni e modalità interattive. Le caratteristiche della relazione coniugale che sono risultate maggiormente correlate al coinvolgimento paterno sono la soddisfazione coniugale, la comunicazione ed il supporto percepite (Habib, 2012).

È importante sottolineare, tuttavia, che il ruolo di mediazione svolto dalla madre verso il padre può essere facilitante o anche limitante. Infatti, accade che, per ragioni diverse, le madri manifestino sentimenti ambivalenti rispetto al coinvolgimento paterno con il bambino, limitandolo, nonostante la volontà di partecipazione maggiore del padre. Quest’ultimo infatti, come descritto da Greenberg e Morris (1974), manifesta precocemente di essere “assorbito” dal bambino, con sentimenti di preoccupazione, concentrazione ed interesse ma anche desiderio di guardarlo, toccarlo e stringerlo. Ciò ha portato gli autori a sostenere l’importanza del contatto precoce anche del padre con il proprio figlio, che potrebbe permettere l’instaurarsi tra essi di contatto e legame.

 

Il ruolo del padre

Negli ultimi tre decenni, nella società occidentale, si è assistito ad un progressivo mutamento nella concezione del ruolo paterno, che ha comportato aspettative differenti dal passato rispetto alla figura del padre: non più solo figura autoritaria e severa il cui compito preminente è il mantenimento della famiglia, ma anche figura affettuosa, coinvolta nella cura dei figli. Nonostante ciò, perdura una stereotipica divisione dei compiti, quale si osservava in passato: la madre è ancora più legata ai compiti familiari routinari e di cura dei figli e il padre è più dedicato ad attività di gioco e ricreative. Tuttavia, nonostante la variabilità nella gestione familiare da ascrivere a fattori demografici, socioeconomici e di background individuale, i padri sono certamente più coinvolti rispetto al passato, percependo il duplice compito di sostegno economico ed emotivo (Genesoni & Tallandini, 2009; Singley & Edwards, 2015).

Sono state quindi proposte diverse tipologie di ruoli che il padre può decidere di assumere nello svolgimento del proprio compito genitoriale, distinte a seconda del tipo di coinvolgimento. A questo proposito è indicativa la classificazione proposta da Russel, 1983 e Palm & Palkovitz, 1988) in merito alle diverse tipologie di ruoli che il padre può decidere di assumere:

  • Il ruolo distante, scarsamente coinvolto dal bambino;
  • Il ruolo di colui che provvede alla famiglia, che essenzialmente identifica la figura tradizionalmente descritta dal padre, come di chi “porta il pane a casa”;
  • L’assistente, genericamente un aiutante della madre;
  • Cogenitore, quei padri che condividono equamente con la madre il ruolo di caregiver;
  • Caregiver principale per identificare quei padri che rappresentano per il bambino la figura di accudimento primaria.

Tale distinzione sussiste in virtù del fatto che il mutamento nella concezione della paternità non implica necessariamente un effettivo cambiamento nel coinvolgimento paterno.

 

L’importanza del padre

La figura del padre risulta essenziale anche perché costituisce un punto di riferimento con cui il bambino si confronta e attraverso cui sviluppa la propria identità. Così, mentre il ruolo della madre nella crescita del figlio sembra essere più legato all’attività del prendersi cura, il padre favorirebbe l’esplorazione, promuovendo nel bambino l’apertura verso il mondo esterno, lo sviluppo del senso di disciplina e la capacità di autoregolazione.

Per altro va sottolineato anche come il padre sia colui che simbolicamente rappresenta, entro il sistema famiglia, colui che istituisce le regole, ovvero l’istanza morale. Tale ruolo non significa attribuire al padre una funzione autoritaria e punitiva, spogliandolo della dimensione affettiva, piuttosto significa valorizzare il ruolo paterno, assegnando il principale messaggio di guida nel mondo sociale. Si deve incoraggiare la formazione del cosiddetto “padre partecipante”, cioè colui che si allontana dalla figura di padre padrone per creare con i figli una relazione fondata sull’affettività e sulla condivisione. Ne deriva la costituzione di una figura paterna completa e arricchita che mantiene le proprie qualità originarie ma che si dimostra anche disponibile a prendersi cura dei propri figli in modo autonomo e responsabile (Andolfi, 2001).

 

Il ruolo delle emozioni

L’ approccio integrato umanistico e bioenergetico offre uno spazio prezioso alla dimensione emotiva, esplorando e validando i vissuti di ogni persona, permettendole di stabilire un contatto con esse sia a livello mentale che corporeo. Come ampiamente sottolineato da Goleman (1995) con il suo grande lavoro sul concetto di Intelligenza Emotiva, le emozioni sono guida fondamentale da seguire nella quotidianità, ma affinché ciò avvenga in modo funzionale risulta necessario
imparare a riconoscerle, nominarle e gestirle. Il processo di alfabetizzazione emotiva consente alla persona di gestire il proprio mondo emotivo e di condividere le proprie emozioni con l’altro, consentendo di instaurare quindi relazioni buone e maggiormente efficaci. Le emozioni sono la spinta più forte ad avvicinarsi e creare una relazione, quanto ad allontanarsi e bloccarla. Questo riguarda ovviamente anche il legame padre-figlio. Talvolta le emozioni sono “scomode”, ma per quanto le possiamo congelare, rifiutare, esasperare, abbandonare, non possiamo – per fortuna – eliminarle. Esistono e circolano indipendentemente dai nostri pensieri.

Il benessere psicologico è costituito da tutto il registro emotivo (Rogers, 1980) e dalla nostra capacità di riappropriarsi di tutte le emozioni, di contattarle e di avere la libertà di viverle con consapevolezza e capacità di gestione (Lo Iacono & Sonnino, 2008). Un buon dialogo emotivo con se stessi non è relativo soltanto alla crescita personale ma è elemento imprescindibile nello sviluppo e nella maturazione della relazione.

Mentre madre e bambino già si conoscono “istintualmente” dal momento della gestazione, questo passaggio, nel rapporto padre-figlio, comincia ad essere scoperto gradualmente, costruito e consolidato. In entrambi i casi, come ben descritto da Luca Napoli nel testo “Traditi dal cuore: quando l’amore diventa Dipendenza Affettiva”(2015), “le risposte da parte delle figure significative dell’infanzia rispetto alle iniziative del bambino costituiscono la base per le sue aspettative future nelle relazioni con il mondo” (p. 19). Questo passaggio sottolinea come il senso di Sé cominci a crearsi nei primi mesi di vita attraverso il modo in cui gli altri ci percepiscono e ci offrono uno specchio in cui riflettersi, definendo il nostro sistema di attaccamento.

In questo complesso sistema di interazioni che si sviluppano sin dalla nascita, il corpo ha uno spazio elettivo: noi nasciamo corpo e le emozioni hanno bisogno di un corpo per essere vissute. La bioenergetica lavora e sottolinea quanto il benessere si esprima attraverso armonia ed integrazione psico-corporea, in cui i nostri livelli di posizionamento mente, corpo ed emozioni sono in linea ed in comunicazione. (Lowen, 2013). Il ruolo delle emozioni e di un corpo che permetta di esserne abitato con consapevolezza e fiducia, risulta quindi fondamentale all’interno delle relazioni: la modalità con cui questo viene espresso dai genitori durante la crescita del bambino andrà a strutturare modelli comportamentali, caratteriali e relazionali continui e coerenti in età adulta. In conclusione, una buona gestione delle emozioni risulta fondamentale per un rapporto padre-figlio che sia di guida e supporto.

Bibliografia

 

Del Carlo Giannini,G., Del Papa, M., Ceccarelli, P.(1981),  Lo sviluppo del feto. Età evolutiva, 10, 93-99.

Genesoni, L., & Tallandini, M. A. (2009). Men’s psychological  transition to fatherhood: an analysis of the literature, 1989–2008. Birth36(4), 305-318.

Greenberg, M., & Morris, N. (1974). Engrossment: the newborn’s impact upon the father. American journal of Orthopsychiatry44(4), 520.

Goleman, D. (1995).  Emotional Intelligence. Bantam Books. Trad. ita: Intelligenza Emotiva (1996) RCS Libri & Grandi Opere S.p.a, Milano .

Habib, C. (2012) The transition of fatherhood: a literature review exploring involment with identity theory, Journal of family study, 18(2-3), 103-120.

Lo Iacono, A., & Sonnino R. (2008). Respirando le Emozioni, Armando, Roma, IT.

Lowen, A. (1975). Bioenergetics. Coward, McCarin & Geoghen, Inc., New York. Trad. Ita: Bioenergetica (2013) Feltrinelli, Bologna.

Napoli, L. (2015). Traditi dal cuore: quando l’amore diventa dipendenza affettiva. Alpes Italia S.r.l. Roma, p.19.

Palkovitz, R., & Palm, G. (1998). Fatherhood and faith in formation: The developmental effects of fathering on religiosity, morals, and values. The Journal of Men’s Studies7(1), 33-51.

Russel, G. (1983) The changing role of fathers? St. Lucia: University of Queensland Press

Singley, D. B., & Edwards, L. M. (2015). Men’s perinatal mental health in the transition to fatherhood. Professional Psychology: Research and Practice46(5), 309.

Smorti, A. (1987). La paternità come processo evolutivo. Psicologia contemporanea80, 36-43.

 

Sitografia

 http://www.mentepsiche.it/pillole-psicosociali/85-presenza-paterna-e-sviluppo-psicologico-del-bambino.html

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